mercoledì 13 ottobre 2010

Il più mancino dei tiri: sorridere di nostalgia



Edito da Mondadori, “Il più mancino dei tiri” rimane tra la letteratura saggistica uno dei libri più evocativi del panorama sociale italiano. Ricco di spunti, evocherà sorrisi da parte del lettore che grazie alle parole dell’autore può ricordare, dire “Eh sì, era proprio così”, oppure può immaginare di nuovo situazioni ormai terminate, andate, finite. Il libro parte da Mariolino Corso, dal suo tiro, dal suo sinistro di Dio. E il lettore, che Berselli ama spazientire in maniera forte e vigorosa, rimane in attesa della descrizione di un’azione calcistica (arriverà?). E nel mezzo si deve “accontentare” di parallelismi tra il calcio e la società. Si deve accontentare di personaggi che mischiano le loro storie come Manlio Scopino, Comunardo Niccolai, Omar Sivori. Ma anche Giulio Andreotti, Ugo La Malfa, Alcide De Gasperi e tutti gli altri. Berselli indica Mario Corso come l’esempio e il simbolo del fallimento della sinistra italiana: il tutto attraverso la spiegazione della filosofia calcistica degli anni di Corso, quando “il gruppo” non esisteva ancora e quando Corso poteva permettersi di rimanere nel cono d’ombra aspettando il lancio lungo da quaranta metri di Luisito Suarez, mentre il Mago Herrera si incazzava come una bestia perché la palla, secondo gli schemi provati in allenamento, sarebbe dovuta finire alla “nostalgia” Sandrino Mazzola. Per Berseli, la memoria è l’unica cosa che conta nella vita. Da intendersi come vita partecipata, vissuta, sentimento di un passato condiviso. Ma anche sforzo mnemonico, gioco di società e massimo criterio organizzativo.
Desideroso di non sincronizzare, Berselli crede che la storia sia tutto un sincrono, così come le emozioni, i racconti e tutto ciò che ricordiamo.
Al motto di “Io non voglio scoprire niente, ma vogliono ricordarmi tutto” Berselli fa un excursus interessante, divertente e alle vote romantico e nostalgico. L’autore stimola la memoria non come insieme di casellari, bensì come animale in continua evoluzione logica che aiuta a vivere il presente, e perché no, il futuro. “Perché la vita è piuttosto complicata per essere racchiusa”.

Per chi ama sorridere mentre legge, questo è il libro giusto.

Una sola figura si esime dalla regola: è l’uomo in più, il fantasista dal tocco magico, il primo violino che suona una melodia tutta sua mentre l’orchestra segue disciplinatamente lo spartito”.

Diffidate di chi ha la scrivania sgombra. Di sicuro è uno che nasconde tutto nei cassetti. E se non ha niente neanche nei cassetti, a che diavolo gli serve una scrivania?”. Un solerte cultore dell’ordine, dei fascicoli, delle pratiche, dei falconi, delle carpette è costretto a selezionare, cioè a gettare nel cestino vecchi documenti e cartacce inutili. Salvo poi accorgersi nel momento peggiore che una certa cartaccia inessenziale si è reincarnata o reincartata nella mente di un superiore come documento essenzialissimo”.

Perché il calcio è un frammento di vita, una insostituibile figurina Panini nel grande album dell’universo”.

Sappiamo che in linea di tendenza la formula a zona si deve considerare “di sinistra”, mentre quella a uomo va classificata”di destra”. Quest’ultima infatti è conservatrice, fondata com’è sul riconoscimento dei limiti umani e sulla constatazione che è più facile distruggere che non costruire (…) La zona invece nasce dalla considerazione che il progetto, la rete organizzativa, il collettivismo, la Gestalt superano i limiti individuali”.

Non bisogna farsi ingannare dalle etichette. Ciò che conta è la cosa in sé: a dispetto delle apparenze, nella realtà esistono solo tre tipi di whisky: il whisky, il whisky doppio e il whisky triplo. Quanto al football: il calcio ha dieci comandamenti (…). Primo non prenderle, secondo non prenderle, terzo non prenderle”.

Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.

Quando uno vuol perdere, Dio glì dà una mano, e alle volte anche un piede”. Tant’è vero che a Catanzaro, una volta, Niccolai crede di aver capito che l’arbitro abbia fischiato un rigore palesemente iniquo contro il Cagliari. Non si può mai sapere che cosa passi per la testa di un Comunardo quando nella storia prende forma il sospetto dell’ingiustizia. Lui si arrabbia follemente, e da fuori area, con la potenza irrefrenabile trasmessa ai muscoli da un’ira davvero funesta, spara un gran tiro incazzato verso la propria porta: il pallone si dirige a centoventi orari all’incrocio dei pali, e per metterci una pezza un suo compagno difensore devia di pugno con un plastico tuffo: e l’arbitro, che non aveva fischiato proprio un bel nulla, è costretto malgrado l’ammirazione per la prodezza, a fischiare effettivamente il rigore”.

In un campionato in cui cominciano a definirsi nuovi ruoli, e in cui le specializzazioni tradizionali sembrano esaurirsi per lasciare spazio a forme nuove di organizzazione del gioco, Corso impersona il tentativo irriducibile di conservare il trequartista, alla mezzala cosiddetta atipica, le sue idiosincrasie di grande eccentrico, di marginale talento che deve solo alla sua irritante classe la presenza in squadra”.

Il massimo che Nereo Rocco richiedeva alla fatica proletaria di Lodetti o all’onesta applicazione operaia di Pelagalli era di correre fino a crepare: e appena intercettata anche solo per caso la palla, di cederla immediatamente a Rivera, l’uomo dal tocco in più, che ci pensasse lui ad inventare qualcosa. Dal rude Domenghini si pretendeva che corresse su e giù per il campo fino a farsi venire gli occhi in croce, e poi, due soluzioni: un gran traversone per la capa di Boninsegna vuoi per il dinamitico sinistro al volo di Riva, oppure una legnata terrificante in proprio, o la va o la spacca. La consegna di Bedin era di affidare senza esitazioni il pallone a Corso nella tre quarti, e que sera sera: talvolta, se più opportuno, un passaggino a Suarez, che puntasse il mirino per gli infallibili quaranta metri di lancio, direzione Jair, più mulatto e veloce che mai”.

Se ti chiami Omar Sivori puoi arrivare tardi all’allenamento, infischiandotene delle rampogne dei vertici societari, e scendere in campo con gli occhiali scuri per nascondere due occhiaie da far paura. Tanto, la domenica al comunale, il raffinato degustatore Gianni Agnelli mica si informa sull’andamento del lavoro di preparazione atletica svolto in settimana. L’unica cosa che gli importa è di assaporare un tunnel riuscito, un gol funambolico, anche un’invenzione fine a sé stessa, un doppio passo, una carognata dell’ingegno. Ma se invece il tuo nome è De Sol, e sei un cursore ottuso, o Cinesinhno, e sei un flebile geometra, ti conviene rassegnarti alle angherie e adeguarti conformisticamente al movimentismo”.

In sostanza, perché Mariolino Corso è l’emblema del fallimento della sinistra italiana? Perché è colui che nel tempo passato a solcare un campo da calcio ha sballato gli schemi del Mago che, nonostante questo, ha vinto, stravinto ed è pure passato alla cassa. La stessa cosa succede nella società della sinistra italiana, dove si lavora tutti “a zona” finchè non arriva una personalità forte a scombussolare il tutto. Peccato che Mario Corso fosse in grado – pur nella sua tendenza a distruggere gli schemi di Herrera – di far vincere la sua squadra. Mentre nella sinistra italiana, una personalità e un genio del genere che trascini sempre e comunque, godendo della collaborazione della forte compagine alle sue spalle…beh, non è ancora esistito. La differenza sta tutta qui. L’Inter ha vinto, la sinistra ha fallito.

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