martedì 30 novembre 2010

Un racconto per la mia "nipotina"/Parte 1

Tutto quello che c’è da sapere nella vita partendo da Marco Materazzi


Gentilmente, non storcete il naso. Juventini, milanisti, romanisti, "lazisti" sappiate che questo racconto è tutt'altro che un elogio all'interismo. Si tratta di un'idea (contorta per la verità) che mi è venuta per augurare qualcosa ad una bambina, nata il 28 ottobre scorso. E per dirle quelle quattro cose che ho da dirle, ho usato la maglia di Marco Materazzi. Sì, chiaramente non potevo spiegare ad una bambina con una settimana di vita sulle spalle "tutto quello che c'è da sapere" partendo da Francesco Totti. E neanche da Alessandro Del Piero. Nè tanto meno da Massimo Ambrosini. In fondo, credo sia possibile fare questo giochino calcistico e numerico per tutte le squadre. Anche per Albinoleffe, Taranto, Messina, Caratese, Folgore Verano, Brioschese eccetera eccetera. In ogni caso, è un piccolo racconto al quale tengo molto che pubblicherò pian piano. Passo per passo. Perchè sarebbe troppo lungo da buttarvi addosso tutto in una volta. 
L'ho scritto per Elisa, una nipotina acquisita che ancora non sa niente. Non che io sappia più di lei. Ma mi piace l'idea di spiegarle quelle due cose che ho capito, partendo da una passione (l'Inter) e dai numeri, una realtà con la quale non sono mai andata molto d'accordo ma che nella vita conta (e non, come qualcuno sta pensando, per i soldi!). E allora, eccovi la prima parte di questa sorta di racconto. 

Parto dalla maglia di Marco Materazzi perchè....perchè è Materazzi. Perchè lui racchiude in sè un po' tutto quello che ti può capitare nella vita. Di essere amato molto. Di essere detestato altrettanto. Alla mia nipotina Elisa, quando è nata, ho regalato la sua maglia. Perchè per lei non spero che sia amata da tutti (tanto non succede). Non spero che tutti scroscino applausi quando lei entra allo stadio. La vita ti regala fischi, fiaschi e per lei spero che a questi si possano alternare qualche applauso e qualcuno che ti dica "Sono pazza per te". Come succede a Marco.


Poi, se è vero che dietro ai numeri ci sono altri numeri e altri significati, tenterò di spiegarle qualcosa tirando fuori campioni del presente e del passato. Il tutto, attraverso formule matematiche (semplici, per carità!).
Ecco a voi...




C‘era una volta la maglia nerazzurra. La storia scritta sui libri è questa: il 9 marzo del 1908, 43 rivoluzionari dell’Ac Milan – l’altra squadra di Milano con la maglietta a strisce rosse e nere - decisero di fondare una nuova società calcistica presso il ristorante milanese “L’Orologio”. Volevano che tutti i bambini, anche quelli stranieri, potessero giocare a calcio sotto gli stessi colori del cielo: per questo scelsero il blu e il nero come colori sociali, gli stessi della notte. E da quel giorno fu così. L’Inter, da quel lontano 1908, ha fatto tanta strada e oggi è considerata la società calcistica meno italiana di tutte, per via della presenza di tanti ragazzi stranieri che giocano con la sua maglia. Ha vinto tanto, ma ha perso spesso e la sua maglia è sinonimo di “gioia sofferta”.


 

La maglia che fra poco la mamma ti metterà è la numero 23: quella di un bambino di nome Marco. Di cognome fa Materazzi e la Milano nerazzurra è tutta pazza per lui. La sua maglia è molto importante e vestirla è motivo di grande responsabilità. 


Marco è un bambino un po’ introverso per la verità, perché è cresciuto senza la mamma e perché in tutti gli stadi d’Italia trova sempre dei gruppi di altri bambini che lo trattano male. Mentre gioca gli dicono le parolacce ma lui, nonostante questo, non li guarda, non va dalla maestra a chiedere una punizione per loro. Spesso sbaglia alcune giocate, a volte fa male agli avversari perché è un po’ irruente e quando segna si gira di schiena e mostra a tutti il suo nome e il suo numero: “23 Materazzi”.
Ogni tanto gli viene da piangere, ma anche gli uomini più forti piangono. Figuriamoci lui che è ancora un bambino. Avere la sua maglia significa portare sulla schiena un numero di grande forza: forza contro i bambini cattivi, forza di chi sbaglia spesso ma si rialza sempre, forza di chi sa voler bene ai suoi amici e forza di chi mostra sempre agli altri la propria identità. Fino alla fine e senza timori.
E’ un numero importante e tu devi essere orgogliosa di avere la sua maglia.


In questo racconto, ti parlerò ti tanti campioni, delle cose importanti della vita e dei numeri. Sì, perché i numeri parlano. A volte più delle parole.

Quando sarai grande e studierai la matematica, capirai che i numeri sono come le matrioske. Che cosa sono le matrioske? Sono quelle bamboline che si aprono e al loro interno hanno una gemella più piccina. Che a sua volta ha al suo interno un’altra gemellina ancora più piccola. Fino ad arrivare ad una bambolina minuscola.
Ebbene, i numeri sono così. Un 23 non è solo un 23, ma nasconde al suo interno altri numeri e, quindi, altri significati. Così come le persone non sono solo quello che vedi, ma nascondo sempre qualcosa d’altro: a volte bello, a volte brutto.

Se scomponiamo il 23, troviamo un 2. Non solo: c’è anche un 3.

(...) continua

venerdì 26 novembre 2010

Racconto: Quando l'extra standard non ha diritto



Questo è solo un racconto. Di una situazione difficile. Un “caso limite” che deve far riflettere perché, in verità, anche chi sta al margine rientra sempre nella pagina e deve poter essere letto. Si tratta di una storia di elefantiasi: una malattia ben più grave dell’obesità che provoca l’ipertrofia dei tessuti sottocutanei. Detto in parole povere: corpo pieno di liquidi, spesso peso a dismisura e difficoltà di movimento. La vita della signora Giuseppa (nome di fantasia) è piena di ostacoli quotidiani: altro che guerra. Quella di Giuseppa è una battaglia continua. Con I suoi 170 chili, è chiusa nella sua casa di Brianza e si sente rispondere ad ogni telefonata che fa: “Signora, non la possiamo curare”. Non esiste una sedia a rotelle abbastanza grande per sostenerla, né un’ambulanza che vada oltre le misure standard. I costi dei trasporti nelle poche sedi che curano persone di taglia XXXXL sono esorbitanti (110 euro per arrivare a destinazione e fermarsi un’oretta) e la vita diventa una lotta continua per cercare tra i rovi un diritto che dovrebbe essere garantito concretamente così come sancito nella Costituzione all’articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
La signora Giuseppa ha grinta da vendere: a vederla, non la si compatisce per niente e fa una grande forza. Soprattutto se paragonata a tutti noi che ogni giorno ci lagniamo per qualsiasi piccolo problema. Giuseppa si muove solo grazie ad una seggiola alla quale rimane ancorata per muoversi: di notte praticamente non dorme per problemi respiratori e durante le ore di veglia cuce, ricama, scrive lettere con penna, fogli e (udite, udite!) carta carbone per darne copie a chi le chiede. Si deve organizzare settimanalmente affinchè ci sia un’assistente che le porti giù la spazzatura e, nonostante la sua pensione sia cristiana, tutti i soldi che ha le vanno via per medicinali e assistenza. “Voglio solo avere la possibilità di essere curata”. Le ho consigliato di imparare ad usare internet, di sfogare il suo messaggio d’aiuto attraverso il web che, ogni tanto, crea eco e raggiunge il Mondo. Ma lei mi ha detto che è troppo affezionata alla carta, alla penna. Come farle capire che questa volta l’innovazione e la tecnologia non licenziano nessuno? Come farle capire che internet questa volta può essere dalla sua parte?

Per la foto: flickr

giovedì 25 novembre 2010

"Vita da...": le recensioni /parla Chiara Anghilieri



Seconda puntata di "Vita da: le recensioni quotidiane". Questa volta a recensire è Chiara Anghilieri, giornalista e insegnante 26enne residente a Renate (per l'esattezza al "Turiom") che si è letta il mio libro in un fiato.

Non ho mai recensito un libro prima d’ora. Ma come non scrivere un commento alle pagine esilaranti scritte dalla cara Elena? In “Vita da…”, l’opera in cui l’autrice raccoglie frasi e situazioni vissute giorno per giorno da lei o da persone a lei vicine, non si smette di ridere un secondo. Per lo meno a me è accaduto così. L’ho letto tutto d’un fiato, una sera, dopo una giornata di lavoro. Non volevo attendere neanche un giorno per vedere come sarebbero proseguite le avventure che sono raccontate. Dalle prime battute ci si trova davanti ad uno spaccato di vita vera, vissuta intensamente in ogni suo attimo, in cui situazioni apparentemente normali si possono trasformare in istanti di pura comicità. Così si passa dalla sbadataggine della protagonista, che spesso e volentieri dimentica di tirare il freno a mano di Martina, la sua mitica Panda, con tutti i guai che ne possono conseguire, alle manie di parenti, (genitori, zie e nonne) e amici. Fino allo spassoso racconto del mondo lavorativo, fatto di conferenze stampa a dir poco alternative, dove al posto dell’ufficio del sindaco, ci si ritrova direttamente al bar, luogo meno ufficiale in cui l’ilarità non manca mai (ne sono una prova alcune perle d saggezza presenti in “Vita da…”, che ho avuto la fortuna di vivere con Elena) e fatto di colleghi che, tra una discussione e l’altra, spesso regalano chicche inaspettate…
Elena, grazie per questo libro: spesso la frenesia di tutti i giorni ci fa sottovalutare ogni attimo che viviamo. Tu invece hai saputo recuperare in modo originale avventure che a tutti capita di vivere almeno una volta, ma che magari neppure ci viene in mente di annotare e spesso passano nel dimenticatoio. Invece, ridere per la battuta fatta da un amico, prendere una multa per divieto di sosta, partire per una vacanza in compagnia, non sono semplicemente dei files da archiviare nella memoria. Altrimenti tutti questi momenti con l’andar del tempo rischierebbero di sbiadirsi. Fissandoli sulla carta, sei riuscita a rendere “eterni” istanti autentici della tua e della nostra vita che non devono essere dimenticati, ma su cui a distanza di anni sarà bello poter ritornare. Sempre con il sorriso sulle labbra.

mercoledì 24 novembre 2010

Stalking e il "policamente corretto" per forza



Tre giornalisti, maschi, due dei quali potenziali stalker hanno partecipato - con imbarazzo - ad una conferenza stampa inerente all’apertura di uno sportello anti-stalking. La cosa potrebbe essere classificata come normale, come prassi lavorativa di un qualsiasi addetto all’informazione. E invece così non è. Il giornalista “non potenziale” - maschio adulto - si è ritrovato a fronteggiare due avvocatesse donne, due addette allo sportello e altre due giornaliste, ancora una volta donne. E mentre le addette ai lavori spiegavano le finalità dell’iniziativa, tanto è stato l’imbarazzo degli uomini presenti, in particolare di quello sposato con figli che non sa neanche usare la mail. “Ho avuto la sensazione che ce l’avessero con me” ha raccontato, mentre gli altri due hanno avuto rispettivamente un rapporto sessuale con l’hamburger del Mac Donald e l’altro una denuncia per persecuzione (per aver rubato la targa ad una tizia che gliela aveva fatta annusare!) non sembravano troppo preoccupati. Insomma, mentre il giornalista matto amante del Mac ha dichiarato apertamente: “E, ma poi c’è il pericolo che l’eventuale stalker diventi la vittima di una persecuzione ingiusta” (sarà parente del Silvio?), mentre il secondo gli dava corda, il nostro marito modello non ha avuto il coraggio di dire la sua poiché si è ritrovato all’interno di un vortice pesante in cui, questa volta, il sesso debole ha tirato fuori non solo le unghie, ma anche quel “politicamente corretto” che non accetta ragionamenti, obiezioni e vuole solo sentirsi dire “brave!”. Alla fine, i tre sono scappati via impauriti quasi chiedendosi: “Ma i giudici saranno preparati a riconoscere un vero stalker da una persona insistente?”. E ancora, il nostro marito modello ha aggiunto sottovoce e senza farsi sentire per non essere preso a borsettate “Guardate che se ai tempi miei ci fosse stato questo reato, oggi non sarei sposato con figli!”. Insomma, lo stalking (del quale si potrebbe anche usare un termine in italiano, prima che questo reato diventi una mania tipo i “glitter” e le “crocks”) è uno strumento importante: che non diventi però il solito mezzo di denuncia nelle mani di altrettanto pericolose invasate…solidarietà alle vere vittime di stalking!

Per la foto: picasaweb

lunedì 22 novembre 2010

"Vita da...": le recensioni /parla Cosimo Argentina



Parte oggi una rubrichina alla quale tengo moltissimo e che spero si arricchirà sempre di più. La rubrichina delle recensione di amici e parenti che hanno voglia di raccontare quello che hanno letto nel libro che ho pubblicato nelle scorse settimane. Si intitola "Vita da...", è autopubblicato e, soprattutto, non ha nessuna pretesa: men che meno quella di essere considerato un bel libro. So per prima che è scurrile.  E so per prima che non è un libro, bensì è solo una raccolta, un "cazzario" al quale sono molto affezionata. Non tanto per la fatica che ho fatto a scriverlo, quanto per la pazienza che ho avuto negli anni di non perdermi tante delle pistolate che ho fatto, detto, sentito con amici e parenti. 

Oggi si parte con una recensione illustre se vogliamo: Cosimo Argentina, insegnante di diritto, scrittore di romanzi e racconti. Un tarantino trapiantato a Meda (in Brianza) che si è prestato per primo a questo gioco assurdo delle recensioni "quotidiane".


E allora diciamocelo: un romanzo di 500 pagine ci manda a male anche da chiuso… anche se non lo abbiamo nemmeno sfogliato perché già immaginiamo lo sbattimento di annodare fili, situazioni, circostanze…
Gli antichi scrittori latini spesso procedevano per massime. In altri casi le loro opere sono diventate massime perché il tempo ha portato fino a noi solo dei frammenti. Bene, io sono per l’elogio della brevità nonostante abbia scritto cose lunghissime (pura incoerenza).
Nel leggere il libro pazzo, fuori di testa e assolutamente geniale di Elena Sandré ho avuto la possibilità di procedere a singhiozzo tra strade brianzole, ragazze sfigate e amiche scaccolanti che lei, la buona vecchia Elena, ha lanciato sulla carta come gli stecchi dello shangai. Pare tutto confuso, ma in realtà tutto risponde a una logica calma e paranoica al tempo stesso. Alla fine mentre leggi le farneticanti filippiche di donna Sandré ti innamori della Tentorio, che non è il nome di un narcotrafficante colombiano ma di una fanciulla spregiudicata… alla fine vorresti abbracciare la Botti, una collega ansiosa che fa da contraltare al Bavuso, un filosofo che si interroga sul perché di un anus scoreggiantis … cercheresti di salvare la Friggy da una clamorosa caduta dal letto…
Indecente e pirotecnico, questo libro spella le mani e fa fare un giro di campo a salutare i presenti perché va dritto allo scopo e fa ridere di gusto senza mai scivolare nella banalità della risata. È una vera camicia di forza fatta infilare al lettore, Vita da… perché da una parte vorresti buttarti dalla finestra e farla finita con la lettura e dall’altra vai avanti con gusto sempre rinnovato tra viaggi all’estero dove il brianza style domina e furoreggia su tutto, tra le massime della nonna… i deliri di una redazione giornalistica e le follie di un gruppo di amiche col cervello in fiamme. Di che parla questo libro? Boh! Non c’è trama, signori miei, non c’è un filo narrativo né uno straccio di messaggio subliminale. Questa è la sua forza. Cos’è Elena Sandré? Un occhio malefico che tutto scruta e tutto annota da perfetta cronista qual è. E poi? E poi semplicemente manda in onda… un particolare dopo l’altro, una micro storia dopo l’altra. Ogni scheggia ha una perla di saggezza… ad esempio la Casadei sbotta: non mi va di andare in giro con voi: avete tutte le tette! Che detta così non è un gran che, ma in realtà è una massima sulla competizione femminile che è molto più pragmatica delle misurazioni maschili.
Insomma questo a mio modesto avviso è un gran libro come se ne vedono pochi in giro. Lo è perché si impara qualcosa, si riflette su circostanze specifiche e non generiche, è divertente perché spesso strappa l’applauso, ma al tempo stesso ti offre uno spaccato di come siamo… ho fatto un articolo sui nomadi. E quando suonano? Parola di mamma.
Sicché noi siamo quelli che Elena tratteggia, pochi cazzi! Siamo noi… siamo tutti un po’ signorina Marzorati (oggi aveva un brufolo che era più alto di lui) e tutti un po’ Di Giannantuono che accoglie i testimoni di Geova in casa perché si annoia. In questo libro dunque c’è tutto il mondo dell’autrice compreso il mitico padre, ma soprattutto c’è il suo sguardo lucido e la sua penna che a mio avviso è una gran penna. E a dire il vero c’è anche il mondo autoctono della Brianza che va dai cognomi – i vari Ballabio, Viganò, Marzorati, Colzani, ma non Bavuso… - a situazioni ambientali come la redazione del Cittadino di Monza, dagli aneddoti indigeni tipo l’amputazione di zio Tony alle vacanze come da copione a Bibione.
Bene, allora leggetevelo anche voi, sto libro, e scoprite che l’autrice quando fa pipì non si dà una sciacquata, ma scoprirete anche che, nella più potente sincerità letteraria, potrà raccontarvi un sacco di aneddoti spettacolari…
Ah, cara mia… per questa recensione merito un premio, ad esempio vorrei vedere la Tentorio pisciare facendo l’hula hop sul cesso. Elena, questo me lo me lo devi!





Meda 20.11.10 Cosimo Argentina

domenica 21 novembre 2010

Serie A1 maschile - Cuneo vicne a Monza

Gian Foto


Acqua Paradiso Monza - Bre Banca Lannutti Cuneo 1-3 
Parziali: 25-16; 24-26; 22-25; 23-25

Monza – E’ stata una bella pallavolo quella messa in campo questa sera al Palaiper di Monza dove Cuneo ha conquistato 3 punti importanti, mentre Monza si è dovuta accontentare di un set vinto “alla grande” e di tanto cuore messo in campo.

Se vuoi leggere di più, clicca qui: dotvolley.it

Le solite beghe: il canone ai cari estinti...


E’ una storia di assurdità, burocrazia. E’ una storia italiana, verrebbe da dire. Come tante ne vengono raccontate ai Tg ogni giorno. E’ la storia di un canone Rai, una tassa anch’essa abbastanza assurda, per la verità, con l’avvento dell’era digitale a pagamento, che viene mandato ad una donna defunta. Le cose sono andate così: Maria (nome di fantasia) è morta nel 2004. Nel 2010, al figlio, che risiede nello stesso domicilio della madre, arriva un sollecito di “mamma Rai” che, “in soldoni”, dice: “Guardi che sua madre non ha pagato il canone del 2005. Si prega di provvedere: il bollettino con la cifra esatta è allegata al presente sollecito”. Peccato che la donna sia defunta e che il fantomatico anno al quale si riferisce la Rai sia successivo al certificato di morte. L’uomo, invece, ha sempre pagato il suo canone regolarmente, dicono dall’Adiconsum. Il figlio della donna, che leggendo è rimasto (come lo sarebbero tutti) stupito, si è rivolto quindi all’associazione dei consumatori. Un sollecito dopo cinque anni. In un primo momento, sembrava che la colpa di questa situazione – capitata a queste persone ma che può capitare a tutti quanti senza distinzioni – fosse dovuta ad una mancata comunicazione alla Rai della morte della madre da parte del figlio. Ma così non può essere: altrimenti un parente dovrebbe comunicare a tutti gli eventuali enti che pretendono tasse e imposte la dipartita del caro estinto. Cosa impensabile, visto che in tempi antichi è stata inventata l’anagrafe (ironia). Quindi, una sorta di ritardo che ha creato questa situazione sicuramente non grave (per carità), ma paradossale senz’altro. Non è il primo caso di questo genere: si è verificata un’altra situazione curiosa, perché una signora che non ha la televisione (sembra un’assurdità per i moderni del “24oresu24” nda) si è vista recapitare a casa il canone Rai: tutto ciò perché dall’azienda hanno verificato che a casa sua c’è una linea ADSL e che, tramite questa, la signora potrebbe vedere la rete di stato. Al limite dell’assurdo, quindi, visto che la visione dei programmi Rai sul computer arriva attraverso un canone già pagato (quello, appunto, della Adsl). E’ come se dopo aver pagato il “canone canonico” ci venisse chiesta un’ulteriore tassa per vedere Rai 3. Insomma, qualche inghippo qua e là è d’obbligo, verrebbe da dire. Ai due solleciti, è arrivato in allegato un bollettino sul quale c’era scritta la cifra 141 euro e 20 centesimi. dicono dall’Adiconsum. E ci mancherebbe.

italiastreamtv 

sabato 20 novembre 2010

Maschi contro femmine: un cast da "8" per l'italiano medio



Maschi contro femmine: uno spaccato d’Italia con tante risate e trame “sanza infamia e sanza lode”. E’ un film tutto sommato piacevole, ricco di quelle piccolezze che all’italiano medio fanno ridere un sacco: l’accento toscano di alcuni personaggi, De Luigi che basta da solo con le sue facce strane a far sorridere tutti e quel pizzico di immedesimazione commerciale che in Italia va tanto di moda oggigiorno. Insomma, non passerà certo alla storia per essere un film sofisticato, ricco di colpi di scena o di retrogusti particolarmente interessanti. In ogni caso, “Maschi contro femmine” è divertente e conta su un ottimo cast: probabilmente è questo che fa la differenza. Avere nello stesso gruppo di attori Fabio de Luigi, Paola Cortellesi, Alessandro Preziosi, Nicolas Vaporidis, Giuseppe Cederna e come comparse marginali Luciana Littizzetto, Claudio Bisio, Emilio Solfrizzi basta e avanza per rendere un film tutto sommato mediocre un film da guardare e gustare.

Quattro episodi, tutti molto divertenti: due vicini di casa diversi e “litiganti” che alla fine si innamorano (ops, ho svelato un finale!), una donna 40enne tradita dal marito che vuole andare dal chirurgo ma che alla fine riuscirà grazie ad un nuovo amore ad accettarsi così com’è, due amici (un uomo e una donna) che si innamorano della stessa persona (lei è lesbica), e un uomo - un allenatore di pallavolo - che cade in tentazione con tutti e due i piedi dopo che sua moglie ha avuto un bambino e di far l’amore non ne vuole proprio sapere. Il tutto condito da battute esilaranti, da scene improbabili (ma nello stesso tempo veritiere) che fanno ridere e “stereotipizzano” gli uomini e le donne italiane.

In ogni caso, sono otto euro che, per le risate fatte, sono spese discretamente bene. Per il cast: 8, per le trame, 5+, nel complesso un 7 ci sta. Una serata divertente in attesa di “Femmine contro maschi” dove, si pensa, i personaggi che hanno svolto un ruolo marginale nel primo film saranno più protagonisti (Bisio, Littizzetto eccetera eccetera).

Opinioni su Eugenio Corti – Vladimir Dimitrievic e quelle parole “scritte per me”



Partiamo questa avventura nel mondo di Eugenio Corti – che “letterariamente” parlando io conoscerò con voi – con l’opinione di un personaggio affascinante, con un tessuto di vita alle spalle da gustare e ascoltare. Si tratta di Vladimir Dimitrijevic. Ai più questo nome non dice niente e prima di questa settimana non diceva niente neanche a me: si tratta dell’editore francese di Eugenio Corti che ha diffuso nell’Oltralpe (L'Age d'Homme) lo scrittore brianzolo, rendendolo forse più noto di quanto non lo sia in Italia (paradosso, ma nessuno è profeta in Patria). Questo intervento risale alla conferenza tenutasi in Villa Reale a Monza lunedì 15 novembre dal titolo “Cantare l’universale nel particolare”.




Vladimir Dimitrievic ha raccontato come è nata l’avventura editoriale di Eugenio Corti in Francia:

Dopo tanti anni sono tornato alla stazione di Milano dove ho subito la prima fame e il primo freddo della mia vita. Non a causa degli italiani, bensì a causa del destino che mi ha cacciato dal mio paese (Russia) 57 anni fa. Sono venuto in Occidente per testimoniare ciò che avevo visto e subito nella mia Nazione, nella mia terra. E soprattutto perché provavo il forte desiderio di capire che cosa avveniva dall’altra parte”.

Dall’altra parte”: qui c’è tutta la sofferenza di un russo che ha vissuto la guerra e che è dovuto scappare. Il suo desiderio era capire che cosa potesse esistere oltre allo sfacelo che in quegli anni la terra russa “regalava” ai suoi connazionali. Un sentimento di tristezza, perché abbandonare la propria Patria è sempre triste, anche se non ti piace, anche se ti fa star male, anche se soffri e sai che in un altro posto del Mondo (qualsiasi) puoi vivere meglio e più sereno. “Dall’altra parte”: quasi ci fosse un muro – ironia della sorte poi realmente esistito – che divide la tua Terra dal resto del Mondo. La serenità da una parte e la vita della guerra dall’altra. La tua origine nefasta da una parte. E lo straniero che, amarezza vuole, è sempre meglio per certi versi della tua gente dall’altra. Una sofferenza forte e inimitabile.

L’Europa, all’epoca, era un sogno per un ragazzo della mia età. Eugenio Corti, invece, è venuto in Russia per vedere che cosa avveniva in questo paese. Io ho lasciato il mio per vedere se al di là esistesse un Paradiso diverso da quello che  mi avevano promesso in Russia. Sono andato in Francia, ho imparato la lingua francese, sono diventato operaio e poi libraio”.

Guardando i cataloghi francesi e occidentali, ho constatato una disinformazione straordinaria. Tanti scrittori russi che avevo conosciuto non erano stati tradotti. Mentre tanti altri, magari autori mediocri ma di regime, erano inseriti nei cataloghi francesi, italiani e anche americani. A quel punto, mi son detto: ecco perché sono venuto in Occidente. Ho fondato una casa editrice che oggi conta 4.100 titoli in catalogo, cercando di rendere omaggio al Mondo cristiano, nel quale io mi trovo completamente a mio agio. Ho iniziato a ricostruire un mosaico, attraverso il quale ricomporre la mia fiducia verso il Mondo, persa completamente dopo quello che avevo vissuto e sopportato: il tutto creato dal regime di Stalin, che all’epoca non si poteva neanche nominare”.

L’esempio di come certe cose siano state ignorate anche in Occidente è stato evidente quando ho preso in mano un dizionario enciclopedico di filosofia. Al suo interno, vi ho letto solo tre filosofi ortodossi russi. Senza raccontare questo pezzo di Russia, quella cristiana ortodossa, ci manca un polmone. E nonostante ci manchi, noi crediamo di respirare. Ignorare il mondo cristiano ortodosso russo di quegli anni significa non avere un'apertura mentale sufficiente per dire chi siamo e per vivere liberamente nel segno della conoscenza”.

In tutto questo mosaico, mi mancava la tessera più luminosa che ho ritrovato in Eugenio Corti. Ho visto per la prima volta i libri di Corti al meeting di Rimini dove alcuni ragazzi mi hanno descritto le sue opere come “qualcosa di straordinario”. Siccome sono di una curiosità imbarazzante, l’ho letto. E quando avevo in mano il suo libro, mi sono ritrovato a pregare Dio: affinché l’autore resistesse e arrivasse fino alla fine delle pagine, portando avanti le proprie idee. Spesso, gli autori fanno un’evoluzione nei loro libri per arrivare ad una fine che accontenti tutti. La natura umana, d’altronde, è debole. Ma nel “Cavallo Rosso”, Eugenio Corti ha resistito fino alla fine. Leggendo quest’opera, ho avuto l’impressione che le sue parole fossero state scritte per me”.

La storia, nell’opera di Corti, è vista dagli occhi di personaggi ordinari e lui ha un punto di vista totalmente diverso da quello della tradizione. Arresta il percorso del tempo. Ha capacità descrittive che ricordano il cinema, ma sono meglio del cinema. Sono come il teatro, ma meglio del teatro. Come il cibo, ma meglio del cibo. Eugenio Corti si porta dietro una profondità storica dalla quale dobbiamo attingere. Perché se non recuperiamo certi valori e, soprattutto, la fiducia, ci esponiamo a crisi penose e dolorose. Corti, dipingendo l’uomo totale, ci dà gli strumenti per uscire dalla crisi”.

Un autore riesce a comunicare solo se è in armonia con la propria terra, con la propria Nazione, con la propria Regione”.

Parlando del Premio Nobel, cosa posso dire? Che per me Corti lo ha già preso. Chiudo ricordando le parole di un Nobel per la medicina del 1904 che al momento della premiazione ha detto: “Ringrazio la Giuria di avermi onorato con questo premio, ma ricordiamoci che l’uomo comincia là dove finisce l’istinto condizionato”.

Per la foto Dimitrijevic: Dimitrijevic

venerdì 19 novembre 2010

"Perchè Corti merita il Nobel?": apro ora il Cavallo Rosso



"Perché Corti merita il Nobel"? Si chiama così questa mia nuova rubrica che non ha nessuna voglia di essere il classico contenitore al quale tutti coloro che stanno già promuovendo al premio lo scrittore brianzolo possono attingere. Non perché io non sia d’accordo con la proposta, quanto perché credo che alcuni contenitori esistano già, mentre io vorrei fare qualcosa di differente.

Apro questa rubrica insieme al libro “Il Cavallo rosso” che, lo ammetto senza troppi mezzi termini, ho nella libreria da anni ormai (me lo regalò mia mamma “tanti natali” fa) ma che ancora non ho letto. Troppo pesante (nel senso fisico del termine)? Forse.

Ma forse anche perché qualcuno mi ha detto che in questo libro viene disegnata la Brianza con tutto ciò che la caratterizza. E che sia anche un po’ questo aspetto che mi frena? In Brianza ci vivo da sempre e ai brianzoli non piace finire in prima linea, sul piccolo schermo, sui giornali. Ai brianzoli piace essere osservatori segreti della realtà, di tutta la realtà, poiché quello di queste parti è un popolo molto curioso.

Detto che, forse, ho il timore di vederci dentro anche i difetti di questa terra (il brianzolo è anche un po’ permaloso!), inizio a leggerlo ora, in questo momento. E vi terrò aggiornati passo passo.

Vado a leggere.

giovedì 18 novembre 2010

Saviano, Maroni: vi devo dire la mia...



Non ci siamo proprio.

Saviano è libero di dire quello che vuole, quello che pensa. Perché grazie a Dio siamo in un paese libero, dove vige la libertà di parola e dove sarebbe un sacrilegio non permettere a chiunque di parlare. Saviano dice che “Al Nord l’Ndrangheta interloquisce con la Lega”.

Saviano, per come la vedo io, tu puoi fare tutte le accuse che vuoi. Anzi, fai bene a farle. Ma farle “a random” senza permettere una replica a chi guida la Lega oggi e, soprattutto, strumentalizzando le parole di Gianfranco Miglio, il padre della Lega, morto dieci anni fa, beh, è quanto meno sospettoso politicamente parlando, lasciamelo dire. Perchè passa il messaggio che al Sud la mafia interloquisce con tutta la politica. E che al Nord lo fa solo con la Lega. E' davvero così?

Quando si fa il comunicatore non è importante solo quello che si dice o come lo si dice. E’ importante non destare sospetti di “affliazioni” varie. Questo per permettere alla gente di crederti ancora, di non pensare che dietro di te ci sia qualcuno che manovra. Insomma, per far sì che tu possa comunciare davvero a tutti e che non ti si guardi con l’occhio del pregiudizio di chi ha mostrato di essere affiliato a qualcuno o qualcosa. Che non necessariamente è mafia, ndrangheta o chissà cos’altro. Può anche essere un partito. Ma la gente, se lo capisce, ti bolla e non ti ascolta per sapere cosa pensi, ma per vedere se dici quello che loro si aspettano. E a quel punto tu non sei più un comunicatore.

Puoi dire tutto quello che sai. Anzi, se un giorno scoprirò che le cose che hai detto sono vere, ti ringrazierò. Ti ringrazio già da ora di averlo fatto.

In tanti sanno che le mafie sono arrivate al Nord (oltretutto parecchio tempo fa). In tanti se lo nascondono a loro stessi. Non è una novità che le mafie cercano la politica e cercano la legalità per entrarci con tutti e due i piedi. E tu non ti sei fermato a dire che l’Ndrangheta interloquisce con la politica. Hai detto “Lega”. Il messaggio non è più che la politica italiana è sporca: è che la Lega, ufficialmente e con i suoi organi nazionali, parla e tratta con la mafia. Il tuo messaggio è chiaro.


Affermare con tutta la forza che hai usato che in Lombardia “l’Ndrangheta interloquisce con la Lega” – citando quindi un partito intero, una tradizione e una realtà che, ti piaccia o meno, ha trovato terreno fertile al Nord e chiedetevi pure perché - necessita quanto meno di un contraddittorio. Che Rai 3 non è capace (e non è mai stata capace) di dare. A Maroni non serve la replica? Sì che gli serve: tanto che ha dovuto ripiegare sulla rete Mediaset, di proprietà del suo capo del consiglio.

Praticamente funziona così: Saviano o chicchesia attacca su Rai 3. E Maroni o chicchessia risponde su canale 5. Una partita di calcio, quindi. Bello schifo, verrebbe da dire. Io scrivo su un giornale locale: Il Cittadino di Monza. Scrivo qualcosa che non va bene al politico di turno. Che fa questo? Va a fare una replica sul Giornale di Carate? Noi che non siamo conoscitori del giornalismo nazionale, internazionale, globale, radical chic e di nicchia non lo faremmo mai.

L’Italia si dimostra ancora una volta il paese dei balocchi. In secondo luogo: caro ministro, hai fatto bene ad arrabbiarti. Così come, per me, ha fatto bene Saviano a parlare se lo riteneva corretto. Ma se a me avessero dato della “collusa” – passatemi la metafora politicamente scorretta – avrei tirato cazzotti e cartelle (come si dice dalle mie parti) su tutti i musi che incontravo. Non dicevo a Saviano “combattiamo la criminalità insieme”. O meglio, magari a bocce ferme lo avrei anche proposto. Ma prima – passatemi sempre la metafora – due pugni se li sarebbe presi. Perché sentirsi dire che il proprio partito, di cui Maroni è simbolo più di Bossi oggi, è colluso. Anzi, che è il partito prescelto per interloquire con le mafie non è una cosa da niente: altro che mano tesa, Maroni, onestamente arei preferito una reazione più forte e, soprattutto, avrei voluto vederti a “Vieni via con me” e non su Mediaset, dove è troppo facile per te replicare. E troppo semplice per la redazione di “Vieni via con me” dire: “E’ andato a casa del padrone”.

In secondo luogo, forse Saviano non ha capito benissimo che attaccando un partito come la Lega ha attaccato qualcosa di più di un semplice centro di potere. La Lega Nord non è il Pdl, non è il Pd. La Lega Nord – che piaccia o meno – è l’unico partito vero d’Italia: quello che ha un territorio da difendere, quello che nel tempo si è creato un nemico (ammettiamolo: per la Lega il nemico è lo “straniero”) e quello che ha sostituito negli anni Rifondazione Comunista con la tutela dei lavoratori (anche se solo quelli del Nord).

Poi, che in questa legislatura il Nord non lo abbia tanto aiutato è discorso che faremo a governo caduto. Ci ha provato anche il Berlusca a costruire un partito vero additando come nemici “i comunisti”, ma mi sa che gli italiani se ne sono quasi accorti che bluffa.

Tirare fuori un’intervista di Miglio – il padre della Lega come ha detto Saviano – non contestualizzandola e, soprattutto, attualizzandola ad oggi, coi problemi di oggi, con le scoperte di oggi, è un gioco politicamente scorretto. Miglio è morto 10 anni fa. E tu, caro Saviano, hai fatto associazioni troppo facili. Soprattutto perché c’è una parte dell’Italia che in te crede ciecamente. Fare lo scrittore come lo fai tu ti dà una responsabilità immensa: e giocare con la politica non è un comportamento responsabile.

Maroni deve venire a replicare a “Vieni via con me”. Questa è democrazia. Non è democrazia che vada su un’altra rete. E tu, e chi per te, questa possibilità gliela dovete dare. Questo è coraggio. E non tirare fuori il cadavere di Miglio che non ti può spiegare con gli occhi di oggi quello che disse tanti anni fa.

Sai cosa voleva dire il padre della Lega con la frase “La Lega vuole costituzionalizzare le mafie”? A mio avviso una cosa semplice che faceva parte della cultura leghista di quei tempi: saluti e baci al Sud e Nord libero voleva dire Miglio. Voleva dire “stacchiamoci e lasciamoli soli, lasciamogli un altro Stato”. Ma oggi queste idee non vanno più di moda perché politicamente scorrette. In ogni caso, Miglio è morto e non si può spiegare. Infine, Miglio era un provocatore. E già che c'eri potevi approfondire anche questo, senza vilipendiare il cadavere. Prendere una provocazione alla lettera è da stolti (o da persone in malafede).

Oltretutto, visto che sei un comunicatore, presta attenzione: tanti dei ragazzi che ti hanno ascoltato lunedì sera non sanno neanche chi è Gianfranco Miglio e tu hai voluto far passare l’idea moderna che “La lega vuole costituzionalizzare le mafie”. Autorete clamorosa, Saviano mio…


E’ bello sentirti dire “Non bastano le manette e la controcultura della Lega per sconfiggere la mafia”. Quanto hai ragione a dire “Non basta!”. E’ giusta l’accusa all’imprenditoria. Ma ti sei prestato ad un gioco abbastanza stupido. E se non ti sei prestato, hai sbagliato quanto meno i tempi e i modi. Sarai stati ingenuo? Forse.

Tutto questo da Saviano, però, non me lo aspettavo. Non me lo aspettavo perché speravo che non dovesse fare propaganda – becera – al Partito Democratico nella speranza che Berlusconi non salga più alle prossime elezioni (ah, il Silvio rimane il suo editore, s’intende…). Caro Saviano, hai doti di oratore. Sai scrivere. E hai coraggio. Chiudila lì. Non entrare in un meccanismo che non fa più neanche schifo, ormai. Sono meccanismi che gli italiani hanno capito. E chi ci è immerso non ne esce più. Come dalla merda. Come dalla mafia.

vieni via con me
vieni via con me 2

mercoledì 17 novembre 2010

La frase del giorno: ci pensa lui...



Frase del giorno (autore, politico di paese):

"Sembra che devono rimanere qui tutti per sempre.
Meno male ci pensa il Padre eterno".


wikimedia

martedì 16 novembre 2010

Una citazione tanto per gradire: sono cotta



"Nessun grado di stanchezza arreca sofferenza quanto l'essere perfettamente riposati e senza niente da fare". (Henry S. Haskins).

Avrà ragione lui?

Per la foto: gattiandgatti

lunedì 15 novembre 2010

Vita vissuta: Milano, il calcio e il traffico

coreografia curva del Milan
coreografia curva dell'Inter

Derby di Milano, 14 novembre 2010: Inter 0 - Milan 1


Ieri sera, a parte la sconfitta, ho visto un paio di scene che vale la pena di raccontare:

All'entrata, dentro e all'uscita dallo stadio, tifosi interisti e milanisti hanno guardato la partita "tirandosi per i fondelli", ma senza alcun problema. Come sempre. Credo sia una delle poche partite durante le quali le due tifoserie possono uscire insieme dallo stadio., senza rischiare una guerriglia. Insomma, per il derby di Milano potrebbero anche non essere necessarie le stringenti misure del pacchetto sicurezza.

Dopo aver visto queste scene da calcio e società improbabile: passi tu che passo io, una Panda e una Volvo bisticciano per entrare per primi nella carreggiata. Risultato: i due guidatori scendono e se le danno. 

Morale della favola: quando si tratta di calcio, i milanesi ragionano. Quando si tratta di traffico perdono il lume della ragione.

Il tutto, ovviamente, dopo aver scorporato i somari, gli imbecilli e similari s'intende...

domenica 14 novembre 2010

Lasciando perdere le Costituzioni: la libertà di parola non esiste



I casi sono due. O esiste la libertà di parola o esistono l’educazione, la riverenza e l’intelligenza di saper stare in silenzio quando è meglio non parlare. E vi sembrerà un azzardo, ma in questo Mondo - che secondi alcuni sta perdendo moralità e cazzate varie - esistono più le seconde che la primea Sì, perché non è solo una questione di prendersi la responsabilità di quello che si dice: no amici miei. Perché magari, una persona avrebbe pure voglia di prendersi la responsabilità di dire ad un fantomatico “speaker corner” che il sindaco del proprio paese è un pirla, che il proprio capo è uno stronzo (Fantozzi insegna) o che la sua ex fidanzata è una baldracca. Ma poi? Poi si perde il lavoro, poi ti costruiscono davanti alla finestra di casa a settanta centimetri, rispettando la legge ma non la nostra claustrofobia, poi la fidanzata ci denuncia e il suo attuale moroso ci mena.

La libertà di parola non esiste. Esiste il coraggio di dire quello che si pensa e di rischiare sempre qualcosa in più per non soccombere a chi ci vuole schiavi delle regole conformate.

E’ libertà di parola non poter fare il medio ad una moto uscita dallo stop che ancora un po’ ci centra in macchina per paura che ci rincorra?

E’ libertà di parola non poter dire al capo: no guarda, io oggi non ci sono perché questo lavoro dovresti farlo tu e non io, lavativo che non sei altro?

Per la libertà si lotta e denti stretti e non se ne avrà mai abbastanza…
Buona giornata!

sabato 13 novembre 2010

Pillole: quando conosci il Signore...



"Da quando ho scoperto il Signore, sono un altro uomo". Lucio

 Riflessione: ma secondo voi, noi che lo conoscevamo già, ci siamo persi qualcosa?

Per la foto: wikipedia

"Della vita di Alfredo": la Brianza raccontata da un "brianzolo" esterno



Della vita di Alfredo. E chi diavolo è Alfredo? Alfredo è Alfredo l’uregia. Sì, avete capito bene: l’uregia, l’orecchio, il frocio, la checca. Chiamatelo come volete, ma Alfredo è un diverso. In tutto e per tutto. Abita in un paesino qualsiasi della Brianza, di quelli fatti di industrie e di freddo, “quello vero, quello che paralizza la mascella da un orecchio all’altro quasi a disegnare un sorriso al quale nessuno crede”. Una terra che punisce per il suo clima dove c’è sempre stato posto per due categorie soltanto: i omen da una parte e i donn che han da munda giò dall’altra. Il libro di Paola Cereda, per chi in Brianza ci vive, è un sorriso (divertente e amaro non importa) unico: un richiamo continuo alla quotidianità che, vista per la prima volta in un libro senza troppo fronzoli ma con tanta concretezza, fanno sentire il lettore brianzolo importante. E ad ogni riga, il lettore pensa “E sì, l’è propi inscì”. Sullo sfondo, una storia, tante storie, raccontate dal punto di vista di chi, come Alfredo, non è uguale a nessuno. Né tanto meno alle categorie che la Brianza, così come tanti altri luoghi, d'Italia, impongono in maniera secca e decisa. Non è una storia di outing come magari si può credere (in Brianza non si fa outing). E’ la storia di generazioni, degli obblighi morali di cantare nel coro della gesa e di ritenersi pure fortunati per poterlo fare, dei piccoli litigi tra associazioni fatte di prese di posizioni a prescindere: Acli da una parte, Parrocchia dall’altra per esempio. Paola Cereda racconta spesso di morte e sofferenza con quella “cantilena” tipica della Brianza dove le sfortunate sono tutte “poradona”, dove la fede spesso limita e dove i problemi ci sono, ma non si dicono. Alfredo l’uregia racconta tutto questo con sottile ironia, ma nello stesso tempo con affetto. In fin dei conti a popolare il Mondo sono i personaggi e le loro avventure. E in queste pagine, che hanno come sfondo il background personale di uno dei tanti, uno dei diversi, uno degli ultimi, trovate un sacco di storie assurde e nello stesso tempo vere. Da leggere e gustare per dire: “Cazzo, è davvero così”. E magari anche per non lasciarsi andare all’idea che, in fondo, vada tutto bene perchè “basta che Signor lè da per tutt” per star bene nella vita.

giovedì 11 novembre 2010

Pillole: la paura delle finestre


Non c'è niente da fare: a me le finestre nude (senza tapparella abbassata) di notte mi fanno paura. E non le posso guardare. Perchè ho il terrore (ma proprio il terrore) che ad un certo punto qualcuno spunti tra la luce fioca del lampione riflesso. Anzi, qualche volta l'ho visto. O l'ho sognato. E mi spaventa.

Per la foto: blog

mercoledì 10 novembre 2010

Saggezza popolare: i funerali in Brianza



La Brianza è una terra popolare fatta di saggezze. Eccone una. E' del Terry, chiamato così poichè di cognome fa Terruzzi. Un vecchietto arzillo con le calze arrotolate in basso, pochi peli sulle gambe e la voce rauca.


I funerali in Brianza son particolari: non urlati, senza apparente strazio, ma col dolore che resta dentro. E intorno al dolore, spesso e volentieri, ci sono tante voci terrene che interpretano in maniera concreta la dipartita del morto con frasi sempre uguali. Dopo il funerale, si va a bere il caffè. Sempre. E le donne più pie commentano il silenzio, i canti, i fiori e tutto il resto. Esattamente come se fosse un matrimonio.

Ipse dixit del Terry: "Bel funeral, bel funeral. E intant lei le ghè pù".

Per la foto: wikipedia

martedì 9 novembre 2010

Poesie per un sorriso: il fiore di verza

Poesia dedicata al fiore di cassoela



Mi sembravi un fiore finto
Mi parevi un petalo nella puzza intinto


Poi a te mi sono avvicinata
E ti dirò la verità
La mente mi si è un po' annebbiata


Puzzavi di cassoela e di quell'odore che le verze lascian in cucina
Quello che ti si attacca ai denti fino dopo alla mattina


Poi ti ho guardata e mi son detta:
Siam già a metà novembre e ancor non ho mangiato la cassoela maledetta!



Buona notte fior di verza
a te che puzzi più di una renza!

lunedì 8 novembre 2010

Alluvione in Veneto: tutti che dicono “chissene”



Perdonate la vicinanza empatica e solidale verso questa situazione, ma credo che una riflessione sia d’obbligo. Parte del Veneto è in ginocchio: una terra fatta di campi, bestiame, agricoltura, allevamento. Una terra che, per certi versi, è rimasta “indietro” di trent’anni e che, per altri, è avanti di cinquanta. Sì, perché in Veneto tanti continuano a fare quel lavoro che un tempo era di moda anche in tanti altri luoghi d’Italia. Ma lo fanno con più tecnologia, capacità, studio e bla bla bla. Un paesaggio che non ha nulla da invidiare a nessun altro luogo d’Italia e dove qua e là si possono scorgere pezzi di storia da vivere.

Dopo l’acqua venuta dal cielo nei giorni scorsi, c’è chi non ha più niente. Non ha più l’attività fatta di sacrifici, di difficoltà e di godimento (che per un po’ non ci sarà più). C’è gente che piange una casa allagata, una fattoria distrutta, un vigneto andato a puttane, il lavoro di intere generazioni distrutto e tutto da ricostruire.

Ma di questo si importano in pochi. Personalmente, sono la prima romantica che quando il TG5 fa una sottoscrizione telefonica prende in mano il cellulare e manda un messaggino per i terremotati dell’Aquila e per tutti i disastrati d’Italia. Non fosse altro perché la fortuna per ora non mi include in questa cerchia e- lo dico sinceramente - mi sento in debito con lei.

Ancora non ho sentito, però, che qualcuno sottoscrive qualcosa per il Veneto. Come se il Nord Est Italia non esistesse. Come se il ricco Nord non fosse meritevole di solidarietà. Come se il Veneto, oggi, non facesse parte dell'Italia.

Ebbene, di che cosa è figlio questo atteggiamento? Del nordismo accentuato e forte dei “faso tuto mi”? Come dire: in Veneto in tanti votano Lega, non vogliono lo Stato italiano, romano e tutto il resto. E che si arrangino, quindi…
E’ così?  E' questa la vendetta? Allora 1-0 per gli statali distratti.

Ma se il Veneto è da una vita che vorrebbe staccarsi dal resto d’Italia, oggi qualcuno sta alimentando le sue motivazioni, giuste o sbagliate che siano. Verrebbe da dire: quando una Regione del Nord ha bisogno dello Stato, voi italiani che fate? Manco la guardate? "Italia sì, Italia no" diceva Elio: "Italia, purtroppo sì" potrebbero rispondere i veneti. Ma visto che è Italia, magari buttarci un occhio profondo non guasterebbe. Allora 1-1. Palla al centro.

I vicentini minacciano lo sciopero delle tasse: potrebbe essere altrimenti? Il Veneto le paga le tasse? Sì. E nessuno li caga nel momento del bisogno: non li caga Fini – come ha suggerito Dario Di Vico del Corriere – non li guarda Bersani e neanche il giovane Renzi.

Risultato finale: 2-1 per il Veneto. Per una Regione che ha sempre lavorato, non ha mai chiesto niente a nessuno e che anche quando qualcosa le dovesse essere dato di default, ecco che nessuno le tende una mano. Perché è una Regione ricca. Agricola e ricca. D’altronde, è una colpa essere riusciti a costruire qualcosa nelle ultime mille generazioni, giusto? E, d’altronde…che ci dovete fare?

Parliamoci chiaro: se quello che è successo nelle province del Nord Est fosse accaduto più in giù di qualche parallelo, la D’Urso avrebbe fatto collegamenti 24 ore su 24, i vari TG avrebbero mandato in sovrimpressione i numeri per dare due euro e Silvio Berlusconi sarebbe volato con un jet privato a monitorare la situazione. 
E questo non è razzismo, nordismo. No, cari miei. E' un'ipotesi più che plausibile, fondata su dati storici e recenti.
Lasciati soli dallo Stato, dai media, dalla società.

Che resta da dire? Tanto il Veneto farà come al solito: si rimboccherà le maniche e in silenzio manderà a cagare ancora tutti quanti per poi tornare alla vita di sempre (un giorno). Nella speranza che non piova.

domenica 7 novembre 2010

In pillole: quando manca benzina


Ma secondo voi, se io non guardo l'indicatore della benzina, la macchina va anche se non ce n'è più? Secondo me sì. A parità di benzina nel serbatoio, la lancetta si stressa maggiormente se la si fissa e scende più velocemente.

Per la foto: autoblog

sabato 6 novembre 2010

I miei cinque giorni in ospedale: racconto sconnesso



I miei cinque giorni di ospedale. Era la prima volta. La prima volta che mi capitava di vedermi assegnato un letto, di raggiungerlo grazie a “Barreto”, un Operatore sanitario peruviano molto gentile. Era la prima volta che dovevo dormire da sola, vicino ad un campanello, lontano forzatamente dalla mia camera e dal sonno leggero della mia mamma. L’asma, il problema.

Affermo da subito di non voler mancare di rispetto a nessuno, tanto meno alle persone che con la malasanità hanno lasciato e perso qualcosa di importante. Però, non vedo perché non raccontare un’esperienza che nella sua tristezza – perché l’ospedale, anche se non hai un granché di malattie, rimane triste – è stata comunque un’esperienza positiva.

Sono stata ricoverata cinque giorni all’ospedale di Carate Brianza per una crisi asmatica molto forte. Sei ore in Pronto Soccorso a fare la flebo di cortisone e non so che. Non so che, perché quando vai in ospedale e stai male prendi le medicine che ti danno. Ti dimentichi del dolore che provi quando un ago ti buca il polso per il prelievo arterioso. E accetti qualsiasi cosa: purché tu possa tornare a respirare come prima. La mancanza di respiro non è una cosa a cui ti abitui: non è un dolore. E’ la costante sensazione e soprattutto la ferma paura che quel respiro sia l’ultimo. Che ti si annebbi la testa. Anche se sai che non stai tirando le cuoia, la sensazione è quella. E l’asma è sensazione, paura, terrore e voglia di star bene.

Al pronto soccorso arrivo sempre sulle mie gambe: entro nella piccola reception e dico sempre le stesse cose: “Ho una crisi asmatica in corso. Non ho il tesserino sanitario, ma sono una paziente nota. Ho già preso Ventolin, Aliflus e ho preso mezza pastiglietta di Deltacortene. Luca, sei tu? Meno male”. Luca è l’infermiere che spesso ho trovato nelle tante volte che mi sono recata al Pronto Soccorso di Carate. Che fin quando ero più piccina, mi consolava quando non volevo fare il prelievo e mettere la flebo. E che anche adesso che sono più grande fa lo stesso. Con tanta pazienza.

Entra” mi dice.
Il codice è “giallo urgente”. Dopo di questo, c’è il rosso: che significa pericolo di vita. Mi visitano e dico ancora e sempre le stesse cose: “Va che io svengo!”. “Allora ti tiro su le gambe!” risponde la gentile infermiera. “Eh, no” rispondo io… "se mi metti con le gambe all’aria non respiro più”. Capisco di farli impazzire e chiedo subito scusa con il sorriso. A star lì, io sto già più serena.

Dopo la flebo, mi misurano la saturazione dell’ossigeno e sta nettamente sotto la soglia: “La ricoveriamo signorina!”.

Va bene” dico io. E che dovevo dire? Lasciatemi andare a casa? Che mi curino. Ironia della sorte: la mia migliore amica Marta era anche lei in ospedale poichè puerpera di pochi giorni.

Nel reparto di medicina dell’Ospedale ho trovato di tutto: piccoli anziani che se ne andavano da questa vita nel giro di pochi minuti, i becchini che se li venivano a portare via, un ex vigile urbano con la sacca del sangue che camminava avanti e indietro pur di non stare in quel letto. Tanta gente che mi veniva a trovare: chi mi ha portato le pizzette, i biscotti, la coca cola. Il proprietario del bar dove di solito vado a fare l’aperitivo mi ha mandato dei biscotti burrosi buonissimi. Alla festa di ognissanti, nella mia stanza c’erano dieci persone: pioveva, non c’era niente da fare e allora….tutti a trovarmi in una festicciola davvero originale. I tubi nel naso, i Volontari dell’AVO che mi portavano il purè anche se non lo avevo ordinato, la camomilla prima di andare a letto, il prete che ride se gli dico: “Padre, spero non sia qui per me!”. Il segno della croce prima di andare a letto. Il misuratore della pressione. Il dottore al mattino presto, il prelievo dalla mano. Ho mangiato bene: mi spiace sfatare un luogo comune. Passi che a me hanno insegnato a mangiare quasi tutto e, soprattutto, a non avanzare niente nel piatto. Ma la ragazzina di fianco a me: 23 anni, al terzo figlio, alla terza trombosi, di origine rumena, continuava a dire “che schifo!” a tutto. Non è possibile: ridendo, pensavo “E’ pure gratis e quando hai finito non è come al Mc Donald. Ti vengono pure a ritirare il vassoio e alla domenica c’è anche la torta”. Insomma, sono stati giorni di umore altalenante, perché l’ospedale butta giù il morale e il fisico. Ma mi hanno curato. Giampiero dell’AVO – un single di 77 anni – mi ha detto: “Anch’io sono asmatico. Ricordati: che di asma si soffre. Ma non si muore”. Meno male, vien da dire. Una vecchina, quando l’ho salutata mi ha detto: “Vai a casa? E quando torni?”………….

Ora sono a casa e, forse, ho oltrepassato la paura degli aghi. Ma la cosa più bella è stata la mia amica Lidia: “E adesso cosa faccio che non devo più venirti a trovare in ospedale?”.

Un grazie a tutti.

venerdì 5 novembre 2010

Mondiali di pallavolo femminili 2010 - La formula? Neanche questa mi piace


Ci lamentavamo tanto della formula italiana dei Mondiali maschile del mese scorso. Ma siamo sicuri che quella giapponese sia meglio? Siamo sicuri che questi groni "bislungoni" alimentino lo spettacolo lasciando la gloria alle prime due classificate di ogni "mega girone". Oppure lo sgonfiano dopo il primo colpo di vento?

Leggete....dotvolley di elena sandrè

"Bella Ciao" e "Giovinezza" a Sanremo: l'Italia ha ancora paura



Niente “Bella Ciao” e “Giovinezza” al Festival. Peccato. Peccato perché era una bella idea. Finalmente, per festeggiare l’Anniversario di questa Italia diversa, frastagliata e mai davvero unita sul serio, si sarebbero potute buttare le basi per il futuro, per qualcosa di nuovo, differente. Vero che Sanremo non è niente (o magari qualcosa sì). Vero che non può bastare una canzone per fare questi benedetti italiani (se qualcuno li ha visti in giro chiami “Chi l’ha visto?”). Ma è altrettanto vero che in un’Italia che continua ancora oggi a discutere su chi “ha vinto la guerra”, chi ha sofferto di più, chi ha torto e ragione, ecco che quella di Gianni Morandi e Mauro Mazzi era una bella trovata: si sarebbe potuta scavare la storia, raccontarla, ricordarla (guai a non farlo), ma finalmente si sarebbe potuto affermare che “la guerra è finita”.
Sì, perché la guerra è guerra: è un gran casino di gente che va, che viene, che vive, che muore, che non ha tempo, né tanto meno ragioni. Eppure c’è e c’è stata (e ci sarà). Ma è finita. E il fatto che a Sanremo si volessero cantare le due canzoni, beh, era un buon modo per farlo capire a tutti: per far capire che stiamo qui a discutere sull’opportunità di due canzonette e il Paese – oltre a rischiare di andare a rotoli – non ha ancora un popolo vero. Era una buona occasione per rifletterci e per chiudere il sipario e iniziare un altro spettacolo: a livello simbolico, ovviamente. Ma si sa che i simboli non servono, soprattutto se quando possono destare le coscienze vengono annullati dalla paura dei fantasmi della storia (ah, i fantasmi non esistono!). 
Peccato perchè ancora una volta questa Italia che non c'è ha avuto paura della sua storia e, quindi, del suo futuro. Ha avuto paura di urtare qualsiasi sensibilità (anche quelle degli invasati - di destra e sinistra chissene - che sessant'anni fa non erano neanche nei pensieri di Dio). Ha avuto paura di dire: "La Guerra è finita. Ricordiamola sempre, impegnamoci affinchè non succeda più. Ma andiamo finalmente avanti". Se non si riesce a superare questo empasse con la musica, figuriamoci nel resto. E' un'impostazione mentale quella dell'Italia: di non rischiare e di rimanere nel pantano ideologico e concreto.

Le due canzoni non sono perfette politicamente parlando (e anche socialmente e umanamente, soprattutto "Giovinezza"). Ma senz'altro fanno riflettere. Ed è questo ciò di cui l'Italia - forse - avrebbe bisogno.
Ci sarà solo Sanremo. Ci accontenteremo. Come sempre.

TESTO "BELLA CIAO"

Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.

O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.

E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna
sotto l'ombra di un bel fior.

E (Tutte) le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E (Tutte) le genti che passeranno
Mi diranno «Che bel fior!»

«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!




TESTO "GIOVINEZZA"

Su, compagni in forti schiere,
marciam verso l'avvenire
Siam falangi audaci e fiere,
pronte a osare, pronte a ardire.

2Trionfi alfine l'ideale
per cui tanto combattemmo:
Fratellanza nazionale
d'italiana civiltà.

3Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.

4Non più ignava nè avvilita
resti ancor la nostra gente,
si ridesti a nuova vita
di splendore più possente.

5Su, leviamo alta la face
che c'illumini il cammino,
nel lavoro e nella pace
sia la verà libertà.

6Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.

7Maledetto fu il cilicio
che condusse all'eroismo,
fu schernito il sacrificio
dal novello socialismo.

8Sorgi o popolo sovrano
su dall'Alpi di Salvore
fino al Siculo vulcano,
che or si vince oppur si muor.

9Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.

10Nelle veglie di trincea
cupo vento di mitraglia
ci ravvolse alla bandiera
che agitammo alla battaglia.

11Vittoriosa al nuovo sole
stretti a lei dobbiam lottare,
è l'Italia che lo vuole,
per l'Italia vincerem.

12Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.

13Sorgi alfin lavoratore
giunto è il dì della riscossa
ti frodarono il sudore
con l'appello alla sommossa.

14Giù le bende ai traditori
che ti strinsero a catena;
Alla gogna gl'impostori
delle asiatiche virtù.

Giovinezza, giovinezza
primavera di bellezza,
nel fascismo è la salvezza
della nostra libertà.
Per la foto: wiki

giovedì 4 novembre 2010

Pillole: il dono della sintesi e la verità


"Va che la vita è una sola. Perchè una volta che sei morto...sei morto. Capito?". Parola della mia amica Marta. Concisa ma precisa.

Per la foto: immagine

mercoledì 3 novembre 2010

E mo basta: pure il richiamo dell'uomo della foresta no...



E Ruby…
E Bunga, Bunga…
E mo arrivano i gay….

Diciamo che non è mio uso e costume tirar fuori moralismi o mettere la croce a chi fa una “battutaccia”. Però questa volta lo dico a gran voce: “Basta!”.

Basta. Perché arriva un momento in cui le persone (gli elettori, mettiamola così) non ne possono sinceramente più. Ma non solo delle battute di Silvio Berlusconi: “Meglio avere la passione per le belle ragazze che essere gay”. Ma anche delle reazioni che si creano intorno a queste barzellette (che ridere proprio non fanno):

chi tituba e non sa prendere posizione: Mara…fai un cenno per cortesia. Sei il ministro delle pari opportunità. E non solo per le ex Miss che vanno in politica. Non basta dire che le battute non si dovrebbero fare con una tiratina d’orecchie al tuo amico Silvio…

Per le parole dei radicali: ragazzi, basta con la strumentalizzazione di massa: “Il premier gioca sulla pelle di tanti cittadini vittime di aggressioni”. E’ il caso? E’ il caso di tirar fuori qualcosa che non c’entra nulla (gravissimo ma che non c’entra nulla) in un momento in cui “quel fagiolo” del premier ha detto davanti a tutta Italia quali sono i suoi gusti sessuali (qualora ce ne fosse bisogno s’intende…), usando la più classica delle frasi di circostanza all’italiana? I primi a giocare con queste persone sono i radicali che per contarsi e far vedere che ci sono devono sempre buttarla sul tragico con i loro scioperi della fame.

Ovviamente (e giustamente) non poteva far finta di niente Niki Vendola, gay dichiarato e orgoglioso del suo orecchino: “Il tempo delle barzellette è finito”, ha detto accusando Berlusconi di fare battute omofobe e di scambiare la molestia per galanteria, mentre Pierluigi Bersani esprime il suo disappunto poichè il Premier ha fatto passare l’Italia come un paese in cui “i gay sono da disprezzare e le donne sono il dopo lavoro dei maschi”.
E qui ci vuole mezzo commento: quando una persona viene colpita sul vivo ha tutto il diritto di dire la propria e Vendola reagisce con forza, usando le parole giuste. Avesse detto: “Che c…. vuole sto maniaco che va con le ragazzine?” avrebbe avuto pure ragione. E invece si dimostra ancora una volta un letterato.

Galante anche la posizione di Bersani che però serve a pochino.
Sì perché qui ci siamo rotti tutti quanti le palle di sentire che i gay vanno protetti come se fossero dei cuccioli che ad ogni angolo rischiano la vita come nella foresta e che le donne devono riconquistare la propria libertà perché Berlusconi le tratta come se fossero delle “zozzette” da scaldar il letto. Le donne sono sempre stato il fulcro della società e lo saranno sempre (sì femministe incallite anni ’70, è anche grazie a voi!). Basta che la si smetta di voler il rispetto a parole, per poi far finta di non usare la “propria fortuna” per ottenere le cose. Il successo parte dalla consapevolezza e dall’onestà verso se stessi. Almeno quello.

Infine, arriva lei, Daniela Santanchè, vincitrice di un sottosegretariato qualunque che ha avuto le palle di dire quel che pensa (e di questo bisogna darle atto): “Berlusconi ha detto quello che tutte le mamme d’Italia vorrebbero sentire dire dei loro figli. Di più: ha detto quello che tutti gli italiani pensano. Molto meglio essere etero, ma c’è da discuterne? Dico bravo al Presidente Berlusconi. E sono convinta che come la pensano la maggior parte degli italiani”.

Beh, è una presa di posizione. Che il Premier spesso interpreti giustamente i luoghi comuni, questo è abbastanza chiaro. Peccato che il Silvio non faccia l’attore altrimenti avrebbe un sacco di ruoli con Gabriele Muccino e i suoi compagni d’avventura cinematografica. In teoria, Berlusconi sarebbe colui che dovrebbe guidare l’Italia e bla bla bla, garantendo certi diritti e bla bla bla. Ma non addentriamoci in parole troppo difficili. Detto che la paladina delle donne violentate non sa andare oltre il suo naso, Daniela stai tranquilla: perché la maggior parte delle mamme delle italiane invece spera che la propria figlia non finisca a dir cazzate e a strappare applausi facili dalla D’Urso alle cinque del Pomeriggio. Tanto per interpretare il pensiero delle mamme d’Italia s’intende…nulla di personale.


Poi, c’è Alfonso Signorini che di recente si sta dimostrando davvero qualcosa di diverso dal resto della massa ignorante: “Io sono l’esempio lampante che lui non è prevenuto” (dirige "Chi" e "Tv sorrisi e canzoni" entrambi di Berlusconi). Vero Alfonso, vero. “Ma la sua è stata una boutade infelice”. Anche questo, vero.

Concludo solo dicendo: non strumentalizziamo l’ennesima pisolata del capo del governo (lo so, lo so che le due cose non dovrebbero star vicine, ma tant’è…). Ma aspettiamo con sincera devozione che la demenza senile faccia spazio ad un rinnovamento mentale. Altrimenti, per favore: facciamo come con i matti. La tara, ragazzi, la tara….vedrete che la smetterà!

Per la foto: picasa

lunedì 1 novembre 2010

Meda, bollette pazze ai Reduci «Atteso rimborso, mai arrivato»



Una delle tante storie di stranezza burocratica alle quali ormai ci siamo abituati: "Signora, cambi gestore...risparmierà!" e poi....

Meda - Sorgenia sbaglia a mandare la fattura: addebitati mille e 500 euro all'associazione Combattenti e reduci di Meda. E' una storia da mandare all'indignato speciale, perché per un errore materiale l'associazione guidata da Giovanni Borgonovo si è vista prelevare dal conto corrente bollette indirizzate ad altre associazioni dei combattenti e reduci d'Italia. Per esempio, alla sede di via De Amicis è arrivata una fattura che invece era indirizzata al suo interno alla sede nazionale di Fiorano al Serio (BG)....

Se volete leggere tutto l'articolo, basta andare sul sito Il cittadino di monza

Per la foto: flickr.com