sabato 16 ottobre 2010

Memorie del sottosuolo: e al diavolo il romanticismo



MEMORIE DEL SOTTOSUOLO-
Fedor Dostoevskij (1864)

Memorie del sottosuolo: un cocktail assoluto di filosofia e ragionamenti uniti ad un racconto tra il concreto e “l’ardussimamente” reale.
Una storia di quotidianità.
Fedor Dostoevskij per l’ennesima volta dipinge un teatro di miseria affettiva, ma di nutrita razionalità che conduce il lettore oltre l’immaginabile, oltre la fantasia e oltre tutte le cattedrali del mondo costruite per far sentire all’uomo la propria potenza: Dostoevskij dal 1864 in poi racconterà spesso del sottosuolo, inteso non come morte. Anzi. Inteso come vita, quella vita che non viene annotata sui diari ma che diventa romanzo. Ebbene, lo scrittore russo, in questo breve scritto in particolare, acquista dalla quotidianità di tutti i giorni paranoie, sguardi e assurdità.
Scritto in prima persona, il libro si divide nettamente in due parti: la prima è un vero e proprio monologo, nel quale il protagonista ragiona, pensa, scava nell’animo umano e vi trova della razionale depressione, così come una lucida consapevolezza di quanto l’essere umano sia portato ad amare l’amore quanto l’odio.
Narra di quanto il volere passi sopra all’affetto e a tutto il resto.
Un farabutto, a detta dell’autore, potrà sempre essere l’uomo più buono di tutti se lo vuole. Così come un animo gentile e tenero, pur rimanendo tale, può trasformarsi presto in un carattere cattivo e vile.

“(…) che in ogni momento, perfino nel momento della più forte bile, ero vergognosamente conscio dentro di me che non solo non ero un uomo maligno, ma nemmeno inasprito, che non facevo che spaventare i passeri senza costrutto e con questo mi consolavo”.

La consolazione dell’autore passa per la sua autodeterminazione: l’uomo è tanto più soddisfatto, quanto più è artefice del suo destino, buono o brutto che sia.

L’ansia più totale del personaggio non è essere triste. Ma non essere niente.
Il resto dell’ansia, invece, è rappresentato dalla consapevolezza: di conoscere o di essere a conoscenza (che non significano la stessa cosa): 

Vi giuro signori che aver coscienza di troppe cose è una malattia”.
“(…) Quanto più avevo coscienza del bene e di tutto questo bello e sublime, tanto più profondamente mi lasciavo prendere nella mia melma e tanto più ero capace d’impantanarmici del tutto (…)”.

Un’intelligenza fine, acuta quella del protagonista che, nonostante smonti tutto quello che vede rendendolo a volte cenere, riesce ad andare oltre anche al più primordiale dei luoghi comuni: la dicotomia netta e secca tra amore e odio.
L’intelligenza e il volere sbriciolano questa differenza e lasciano solo il volere e l’intelligenza.

La seconda parte del romanzo, invece, è un vero e proprio racconto: con parentesi di sensazioni e pensieri, intervallate da discorsi diretti nudi e crudi.
Narra quindi di un personaggio che decide di reagire ad un ufficiale che lo aveva scansato senza neppur guardarlo durante una serata trascorsa in una bettola.
Il problema per l’autore non è che l’ufficiale lo ha trattato male: è che non lo ha trattato affatto, facendolo sentire nulla. Aria.

La stessa sensazione di nulla, il protagonista la prova nel tratto centrale del racconto quando, ritrovando vecchi compagni di scuola, egli cerca di darsi un tono pur cadendo sempre nel breve e immediato dimenticatoio.

Infine, l’ultima parte del romanzo narra di un incontro tra il protagonista e una giovane prostituta. Da un dialogo tra di loro, esce tutta la rara intelligenza dell'uomo che, però, tradisce la sua perfezione facendo credere alla giovane donna di poterla salvare da quel mondo sporco e putrido, nonostante la sua mediocre povertà glielo avrebbe impedito: e qui sta il limite del volere umano., ossia nel mondo esterno: che riduce una persona a cattivo uomo di provincia, con poche possibilità di fare ciò che vorrebbe.

L’incontro finale tra i due terminerà con una scena di tristezza infinita: un soldo consegnato nelle mani della giovane donna, quasi a volerla far scappare sul serio. Questo la farà sentire – più di altre volte – una prostituta e a farla ripiombare nel baratro sarà proprio colui che la aveva illusa di una salvezza. 

Un pianto, un toccarsi di mani e un sottosuolo che continua a venir fuori in ogni pagina e in ogni dove.
Un sottosuolo fatto di paura e contraddizione: di chi vorrebbe uno scossone forte e lo desidera al tal punto che quando lo vede arrivare si sposta perché, forse, è più soddisfacente l’attesa e la ricerca piuttosto che una delusione cocente di un terremoto di bassa forza.

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