domenica 26 dicembre 2010

Vicolo dell'acciaio: la microstoria di un grande problema



Se non hai provato i turni pesanti in un’acciaieria, i turni da prima linea, non hai diritto di parlare. Solo quelli che si lordano possono dire la loro. Io li vedo ogni giorno Lilli, ogni santo giorno li vedo. Cristiani com’a me…mi stanno morendo intorno e io è quella là la strada che m’attocca…”. Cosimo Argentina – scrittore di origini pugliesi residente a Meda - racconta in un romanzo industriale la vita dei tarantini di via Calabria. Focalizza l’attenzione su una vita normale, di uno studente di giurisprudenza: uno di quelli che oggigiorno ce ne sono tanti. Che iniziano a studiare per un futuro migliore promesso dalla scuola e che vorrebbe tutti i ventenni d’Italia all’ università. La famiglia di Mino è composta da una madre timida e un padre, un “uomo da muro”, tutto azienda, barba, caffè e birretta che vive nella consapevolezza che il suo destino è quello di morire di lavoro. Si può morire per una malattia da lavoro, oppure sotto una pressa in un qualsiasi incidente. Ebbene, in questo romanzo si narra della storia di questa via, tanto che i personaggi, oltre ad avere un nome proprio, hanno anche l’etichetta: “Quello è un via Calabria. Quello è un via Polibio”. Quasi si trattasse di un marchio di fabbrica. La denuncia – perché di questo si tratta – riguarda quindi tutta la vita sommersa di chi per garantirsi un futuro (e anche un presente) deve mettere in conto che un incidente sul lavoro “può capitare” e che “son cose che succedono”: teatro della storia è quindi la sua Taranto e, più precisamente, l’Ilva, azienda fondamentale per l’economia della città pugliese. Il tutto, sfruttando la capacità di Argentina di descrivere la scena, i personaggi, di renderli perfetti per il ruolo che rivestono all’interno della storia e della vita di tutti i giorni. I personaggi di Argentina non sono inventati. Son presi dalla strada, così come la trama e le sensazioni che le pagine del libro emanano, grazie alla descrizione dei suoni e degli odori. Non manca una punta di pessimismo, anche se forse si tratta più che altro di realismo e di un’osservazione arguta e onesta della realtà. Sullo sfondo, quindi, una disillusione forte che potrebbe essere spazzata via, ma pian piano: con un vento leggero e continuo fatto del lavoro di operai, aziende e istituzioni che collaborano per una sicurezza vera e concreta. Per ora, c’è solo una convinzione: “La consapevolezza che niente, non abbiamo risolto niente anche perché in fondo non c’è niente da risolvere”.
Ma il lutto qua non lo senti come qualcosa di tenebroso. E’ una presenza incombente che preesiste alla tragedia. Il lutto esiste perché esistono gli schiavi”.
Dalla verità si cambiano le cose. Dall’illusione di poterle cambiare con un’associazione ambientalista per esempio, non si migliora nulla. Edizioni Fandango: Vicolo dell’acciaio.

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