mercoledì 15 febbraio 2012

Sanremo 2012: la musica, il ritorno del 2011 e la panolada dei ricchi

Suvvia, lo confesso. Io per Sanremo ci perdo la testa. Sì, perchè va detto: se una manifestazione arriva a spegnere 62 candeline, nonostante il passaggio di brutture musicali (negli anni s'intende), nonostante presentatori spesso fuori luogo. Nonostante tutto, Sanremo si è sempre iniziato e portato a termine. Quindi, per me è impossibile non seguirlo. Ha fascino solo il fatto che abbia storia. Ha fascino il fatto che su quel palco, la dice bene Gianni Morandi, siamo passate quasi 2000 canzoni,150 delle quali riecheggiano a memoria sulle bocche degli italiani (che sono tali quando gioca la Nazionale e, per altri versi, quando c'è Sanremo). Tutti gli anni, si scatenano coloro che acquistano dischi (che scaricano le canzoni, pardon) e dopo la prima sera si dice sempre che le canzoni di Sanremo fanno tutte "cagarissimo". Per me non è così. Sono arrivata preparata con la lettura dei testi (il tv Sorrisi e Canzoni serve a qualcosa: nonna saresti fiera di me) prima di sentire le canzoni e mi sono permessa di giocare dando qualche voto. In parola, come faceva la maestra Pina. Che si capisce meglio e si arriva prima al concetto che si vuole esprimere. Per ridere, nè.

ARISA (La Notte): Chi la voleva eterna macchietta ha sbagliato a capire. Il testo è ricco di sofferenza. La musica è ritmica, si sta al passo con lei e con la sua voce bellissima. Impiegata diversamente rispetto a quanto già fatto in passato. Coraggiosa (cambiare non è mai facile).

SAMUELE BERSANI (Il pallone): La metafora del pallone, scusate, ma a me fa diventare matta (positivamente). La canzone non rimane nella testa, però. E, quindi, andrebbe riascoltata. In fondo chi l'ha detto che una canzone debba vincere se è orecchiabile? Bersani ha fatto tante cose (ps: fa 20 di carriera, giù il cappello) non orecchiabili apparentemente, ma bellissime (Replay, e la stessa Giudizi Universali stessa non è così cantabilissima ad un primo momento). "Un pallone scappato sa rubare la scena alle ruote di un camion che in mezzo alla strada per caso lo sfiorano appena. Un pallone bucato non è più di nessuno. Anzi viene scansato da tutti i bambini e lasciato ingiallire nel fumo dei rifiuti bruciati". Bella da riascoltare.

LUCIO DALLA E PIERDAVIDE CARONE (Ninì): A sorpresa, Dalla si mette a dirigere l'orchestra e lo stesso Carone. Divertente, diverso. Non c'è che dire. Ma ricorda tanto la "beffa" dell'anno scorso, quando la bellissima canzone di Battiato e Madonia (L'Alieno) fu cantata solo nel finale dal cantatutore matematico. Detto questo, il testo è interessante e sembrerebbe dedicato ad un amore (non corrisposto) con una schiava. La voce di PierDavide (scettici antimariadefilippi staccate gli occhi dal monitor) è bella e arriva diretta, anche se il tutt'uno non è immediato. Differenti.

CHIARA CIVELLO (Al posto del Mondo): Brava è brava questa cantante jazz arrivata da lontano, eppure da così vicino. In Giappone e in Brasile è una star. Qui forse farà fatica. Il suo timbro è bello, la sua presenza scenica musicale non si può discutere. La canzone rievoca immagini d'amore adolescenziale e libero, con le stelle, i prati e il Mondo che svanisce. Il brano, tuttavia, è uno di quelli che ariva meno in un primo momento. Si farà.

GIGI D'ALESSIO E LOREDANA BERTE' (Respirare): Più belli di quanto si potesse pensare. Insieme ridono e trasudano qualcosa di buono, per la verità. La canzone ha ritmo (ma sono l'unica che vorrebbe risentire la Bertè in un brano struggente?), ma il testo non dice più di quel che dice. Un bene? Un male? Se c'è di mezzo Loredana non si può non parlare di look. Che in testa abbia una parrucca? Scherzi a parte: la canzone è appena appena orecchiabile e, se dovesse far fortuna, la farebbe solo per i cantanti di successo che l'han portata sul Palco dell'Ariston. Scettica.

DOLCENERA (Ci vediamo a casa): Apre lei questo Fetsival. Con la sua voce conquisterebbe chiunque e il brano ha un non so che di quotidiano e di anacronistico rispetto ai voli pindarici che si sentono di solito che davvero mi commuove. Bella, capace.

EMMA MARRONE (Non è l'inferno): Come dire, la canzone italiana non è solo miele. Finalmente, verrebbe da dire, torna sul palco anche un argomento sociale di attualità come il lavoro, come le famiglie in difficoltà. Come i suicidi (presi di lato e senza mai nominarli). Il sangue dato per il paese poteva risparmiarselo, effettivamente. Ma la passione è il 60% in una canzone. Impegnata.

EUGENIO FINARDI (E tu lo chiami Dio): E tu lo chiami Dio. Finardi canta, sa farlo. Ha una voce inconfondibile. Ha un testo forte. "Io non do mai nomi alle cose più grandi di me". Finardi ne sa. Si riconosce. E si imita da solo. Finardi ne sa.

IRENE FORNACIARI (Grande mistero): Questa ragazza esprime energia da tutti i pori. Indiscutibilmente brava, se ne sbatte del look e arriva sul palco con una tovaglia arrotolata in vita. Il testo è di Van De Sfroos e si sente con i suoi gatti, le sue lune a dondolo e i rami che si mescolano ai sospiri. Nonostante il ritmo forte, tenuto alto da Irene, la canzone parla di morte. Parla di notte. Di onda che risucchia. Capace ed evocativa.

MARLENE KUNZ (Canzone per un figlio): Testo interessante, dedicato a chi verrà, alla sua felicità che gli stupidi rendono facile. E' rock. E' il rock dei Marlene Kunz (diverso dagli altri). La canzone non arriva immediata, ma anche "La canzone che scrivo per te" mi è arrivata settimane dopo che l'avevo ascoltata per la prima volta. Parola d'ordine: loop e attendere.


MATIA BAZAR (Sei tu): Lo confesso. Li aspettavo al varco. Il testo è tremendamente sanremese, nell'accezione peggiore del termine, con "sei tu che mi hai rubato il cuore" pensavo si fosse toccato il fondo. Ma la canzone è orecchiabile. E' per Sanremo. Loro sono grandi musicisti, lei una grande voce. Se è vero che le orecchie parlano: questa canzone può andare avanti.

NOEMI (Sono solo parole): Testo di Fabrizio Moro (uno che ha sfornato della bella roba, tra "Pensa" e "Eppure mi hai cambiato la vita"). Nonostante tutto, non sono convinta. La canzone non dà quel che mi aspetto. La musica neanche. E Noemi, a dirla tutta, mi pare anche un po' giù di tono. Evabbeh, la risentirò.


FRANCESCO RENGA (La tua bellezza): Una canzone dedicata alla figlia (credo io, nè) con il padre che si compiace del fatto che la bellezza della creatura sia la parte migliroe di lui. Una bellezza furiosa (tipica dei figli che crescono) e fragile (come sono sempre i figli nei confronti dei genitori di tutte le età). La voce di Renga fa il resto. Bella e ascoltabile alla radio.

NINA ZILLI (Per sempre): Mi ha conquistato, confesso. A vederla arrivare parrebbe il fantasma di Amy, ma invece è una voce lucente e al limite del metallico piacevole e che canta l'amore. Quello finito che però poi torna. Poi speri. Cose così. La canzone potrebbe vincere. Forse. Ma vince la canzone più bella a Sanremo? Io la tifo.

Chiudo con la citazione di Rocco Papaleo che qualcuno legge come un messaggio contro i furbetti. Io lo leggo come uno sfanculo a chi agitava i fazzoletti all'Ariston per il meccanismo di votazione inceppato.

"C'è un campo di girasoli a Cortona d'Arezzo / c'è un campo di paraculi a Cortina d'Ampezzo".

Si sa, in sala non ci stanno mica quelli del ceto medio. Ci stanno i ricchi. Sì, i ricchi paraculi. Si è inceppato il meccanismo e la gara è saltata. Chi lavora sbaglia. Le macchine pure. Quanto casino per niente. Questa è la parte del Festival che mi fa venire prurito. Mitico Rocco. Non c'è che dire.
Ah, Luca e Paolo chiedono torni il Berlusca, la tipa con il nome impronunciabile è malata e tornano Belen e Canalis (vince sempre l'argentina 10 a 0). Non parlo di Adriano. Perchè Adriano si può solo ascoltare. Tanto lo fate tutti. Anche chi invoca il suo silenzio. E poi si lamenta che sta zitto. E cose così.

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